Il Pianeta Terra ha circa 4,5 miliardi di anni, la maggior parte dei quali occupati da quello strano fenomeno fisico-chimico chiamato Vita. Non è ancora chiaro come la Vita sia iniziata, ma è stato molto, molto tempo fa. Tracce di vita sono presenti su rocce vecchie di quasi 4.000 milioni di anni, e le recenti esplorazioni marziane hanno rivelato la probabile presenza di vita, in tempi antichissimi, anche sul nostro gemello rosso.
Comunque sia, per i primi 2.000 milioni di anni le tracce della Vita sul nostro pianeta non sono state molto eclatanti: un insieme di organismi mucillaginosi portati dalle onde nelle zone di acqua bassa, molto simili agli attuali cianobatteri. Come questi ultimi, gli organismi archeani avevano sviluppato la singolare caratteristica di utilizzare la luce del sole per combinare l’anidride carbonica dell’atmosfera con il calcio contenuto nelle acque del mare e nelle rocce vulcaniche per formare carbonato di calcio, ricavandone al contempo l’energia chimica necessaria per produrre nuova materia organica e per riprodursi. Come prodotto di scarto, ormai si sa, rilasciavano in atmosfera un gas molto reattivo e pericoloso, l’ossigeno.
Circa 2 miliardi di anni fa l’operazione era compiuta: gran parte dell’anidride carbonica era oramai scomparsa, trasformata in calcare o seppellita sotto forma di fanghi organici nei sedimenti oceanici (oggi li chiamiamo idrocarburi), mentre l’ossigeno cominciava ad accumularsi nell’atmosfera, donandoci i bei cieli azzurri che possiamo ammirare anche oggi.
Per gli organismi archeani, prevalentemente anossici, non fu un bel momento: dovettero abbandonare la superficie del Pianeta, sostituiti da forme di vita più efficienti, per nascondersi nei recessi più bui dove il velenosissimo ossigeno non poteva raggiungerli. Molti di essi sono ancora con noi, nascosti nei nostri intestini, dove sono utilissimi per la digestione di molte leguminose ma spesso molto meno per le nostre relazioni sociali.
Tranquilli, non mi dilungherò oltre, non intendo propinarvi una lezione di ecologia planetaria, almeno non in questa sede.
Quello che mi preme sottolineare è che noi, ciascuno di noi, anche il barbone di mezza età che si spara un grammuccio in vena o viene a vomitarvi qualche litro di vino scadente sugli scalini di casa, siamo in eguale misura eredi, custodi e responsabili di una storia durata molte migliaia di milioni di anni.
Da quando ci siamo arrogati il diritto di modificare il pianeta a nostro piacimento fino al punto di dare il nostro nome ad una intera era geologica (l’Antropocene), ci siamo assunti nello stesso momento anche la responsabilità verso l’intera vita planetaria. Uno dei maggiori ecologi ed ambientalisti viventi, James Lovelock, ha coniato a questo proposito il nome di Gaia, che io ritengo molto utile per riassumere, in una parola sola, l’insieme della componentI biologica ed inorganica del nostro Pianeta. Se avrete la compiacenza di leggere oltre le mie parole, ogni tanto troverete quel nome.
Ciò premesso, come direbbe un bravo barone universitario, mi sembra naturale chiedermi quale sarà il futuro di Gaia, e soprattutto se in questo futuro ci sarà posto anche per la specie Homo Sapiens o per i suoi discendenti.
Copiando le parole di Lovelock, Gaia è anziana. Da 4.000 milioni di anni abita su di un piccolo pianeta di periferia, confinato inevitabilmente attorno ad un sole di mezza età, il quale aumenta, lentamente ma costantemente, il suo calore avviandosi vero l’inevitabile collasso finale. Per 4.000 milioni di anni Gaia ha contrastato questo riscaldamento, controllando l’atmosfera e gli altri parametri planetari (albedo ecc.) per regolare la sua temperatura sulle condizioni ottimali per la Vita. Ora si sta avviando verso la senilità. Il principale fattore di controllo, la CO2 atmosferica, è quasi esaurita. Le oscillazioni climatiche planetarie (le grandi fasi glaciali ecc.) stanno diventando sempre più frequenti e profonde. È stato calcolato che, con o senza l’aiuto dell’Uomo, entro il prossimo mezzo miliardo di anni Gaia perderà il controllo dell’omeostasi climatica, dopodiché la terra scivolerà verso temperature superiori a 50°, decisamente troppo calde anche per i più freddolosi tra noi.
Sempre citando Lovelock, Gaia è paragonabile ad un uomo di 80 anni (questa era appunto la sua età quando scrisse quelle parole nel suo libro “la Rivolta di Gaia”), ancora in buona salute ma certo più fragile di un giovanotto e soggetto a rischiare la vita anche con malattie che sarebbero state trascurabili in altre età. Per inciso, Lovelock tra pochi giorni compirà 103 anni, ha scritto un altro libro e gode di ottima salute.
Cosa succederà nei prossimi 500 milioni di anni?
D’accordo, per molti di noi la faccenda riveste ben poca importanza, ma io sono un geologo e sono abituato a ragionare in termini di ere geologiche. Oltre a ciò, sento abbastanza profondamente la responsabilità di cui vi dicevo, verso i miei figli, verso la mia specie e verso quel variegato universo di geni e catene di amminoacidi che forma la Vita sul nostro pianeta.
La risposta, ovviamente, la possiamo trovare solamente nell’immaginazione, ma nella scienza anche l’immaginazione può (e deve) essere supportata da una ragionata analisi dei dati di cui oggi disponiamo.
A questo proposito, un famoso scrittore di Fantascienza, Isaac Asimov (che per inciso è stato anche uno scienziato con i fiocchi) pronosticava la diffusione della razza umana in tutta la galassia, mentre la povera Terra, sfruttata, esaurita e devastata dalle guerre nucleari, era ridotta a poco più di uno scoglio roccioso e radioattivo. Una visione letteraria e romantica, affascinante come tutte le creazioni del genio umano ma verosimilmente poco probabile.
James Lovelock lancia un’altra ipotesi, che mi permetto di riproporvi con qualche modifica e considerazione personale.
La specie umana ha circa 500.000 anni, ed il pensiero simbolico, derivante da una mutazione che i genetisti chiamano FOX -P2, si è sviluppato circa 70.000 anni fa. Da allora Homo sapiens si è distaccato dagli altri ominidi (“distaccato” è un eufemismo, praticamente li ha sterminati) ed ha imboccato la strada che lo ha portato al controllo del Pianeta. Comunque la vogliate vedere, si è trattato certamente di un altro gradino evolutivo nella storia della Vita.
Come possiamo vedere la razza umana con gli occhi dei Gaia, anzianotta e sulla via di un inevitabile declino?
Potrebbe essere la malattia, inaspettata ed imprevedibile come un tumore maligno, che la porterà verso la sua fine ultima? Certamente sì. In passato Gaia ha superato crisi difficilissime, dalla devastante diffusione del gas ossigeno alla caduta di meteoriti, ed è sempre riuscita a riprendersi. Ora però è vecchia e difficilmente potrebbe superare un’analoga catastrofe planetaria come quella che stiamo preparando.
Però potrebbe anche essere una medicina, uno strumento dell’evoluzione con cui Gaia cerca di salvare sé stessa. Non c’è alcun riferimento mistico in ciò che sto per dire. La specie Sapiens, nelle ultime migliaia di anni e grazie a mutazioni e circostanze favorevoli, ha sviluppato un’altissima efficienza tecnologica. Oggi (ed a maggior ragione domani) già dispone degli strumenti operativi per intervenire coscientemente sul clima planetario modificandolo e regolandolo nella maniera più opportuna. Finora, è vero, ha usato quegli strumenti solo per creare danni, anche quando le intenzioni erano le migliori, ma dobbiamo sperare che nel futuro si sviluppi una vera coscienza ambientale che prenda atto delle enormi responsabilità che, come razza dominante, ci siamo assunti.
L’Umanità, e con essa l’intero pianeta, è ad una svolta. Il tempo sta per finire ed i nodi sono venuti al pettine. Se vogliamo sopravvivere, nel futuro prossimo la Scienza deve finalizzare la propria ricerca verso il bene non solo delle singole persone, della propria comunità o del proprio Paese, ma verso l’intero ecosistema planetario, verso Gaia, la nostra unica casa nel sistema solare. Solo l’Uomo può aiutare Gaia a continuare il proprio cammino, o decretare la sua fine.
Le difficoltà, inutile negarlo, sono enormi e la rincorsa verso la catastrofe planetaria a prima vista appare inarrestabile. Solo una minima parte dell’umanità si occupa consapevolmente di studiare i meccanismi che regolano la vita di Gaia, e solo una minima parte del sistema politico è disposta ad assumersi lo scomodo compito di guidare le nazioni verso scelte che potrebbero essere impopolari. La figlia di un mio amico, laureata in “benessere animale” (giuro, esiste davvero una laurea con quel nome) mi ha spiegato che esistono più leggi per difendere i cani che non per proteggere la vita umana.
La maggior parte della popolazione del pianeta non dispone di sufficienti risorse alimentari e spesso è preda di governi dispotici ed ideologie folleggianti che fanno del saccheggio e della distruzione la loro unica ragione di rivalsa. L’altra metà del pianeta, più piccola ma più ricca, è in gran parte occupata a difendere i propri privilegi a discapito delle grandi masse del terzo mondo, spesso giustificando la propria criminale arroganza con false fedi religiose od ambientaliste, dimenticando che tutti respiriamo la stessa aria e che il mondo, se dovesse accadere, crollerebbe per tutti nella stessa maniera. Noi, popolazioni pasciute del mondo avanzato, avremo probabilmente il discutibile privilegio di essere gli ultimi a morire di fame.
Questo, almeno, è il mio pensiero, questa la mia fede di “ambientalista eretico” e questa la mia maniera olistica di guardare il mondo, come un unico insieme complesso di parti interconnesse di cui facciamo parte anche noi. La perdita di una sola di queste parti impoverisce tutti e mette in pericolo la sopravvivenza di tutti.
Perciò, se avrete la bontà di continuare a seguirmi su questo blog perdonate se non mi sentirete mai preoccuparmi degli sbalzi umorali della Cinciallegra o della vita familiare della Passera scopaiola, ma piuttosto del folle saccheggio delle ultime, preziosissime isole di biodiversità naturale per dare spazio al gattino Cicci dell’anziana signora Rossi.
È l’indiscriminato consumo di idrocarburi fossili che sta portando il pianeta verso la catastrofe climatica, non le centrali nucleari.
È la folle trasformazione del mais in “biodiesel ecologico” per riempire a basso costo i serbatoi delle auto dei ricchi americani ad affamare milioni di persone, non la ricerca sugli OGM.
È la consapevole distruzione delle ultime foreste equatoriali a privare il pianeta delle sue difese naturali, non la costruzione di gallerie e viadotti per rendere più efficienti le infrastrutture della nostra civiltà tecnologica.
Come Ambientalisti Liberal riteniamo che solo una reale presa di coscienza dei veri , drammatici problemi che avremo davanti nei prossimi anni e decenni ci permetteranno di superare la profonda crisi ambientale che il nostro pianeta sta affrontando. Non ci possiamo più permettere di mantenere tutti gli idioti che sputano sentenze sull’ambiente senza averne alcuna competenza, che si chiamino no-global, Don Ciccio o Mustafà. Ne va della nostra stessa sopravvivenza come specie.
marzo 2022
Antonio Moretti, docente di Scienze dell’Ambiente, Università dell’Aquila