La gestione dei rifiuti urbani in Italia è caratterizzata da difformità territoriali molto marcate.
In gran parte del nord si ha infatti una gestione contraddistinta da una buona organizzazione della raccolta e da un consistente e diffuso parco impiantistico con cui si riesce a gestire adeguatamente i rifiuti raccolti sia in modo differenziato che indifferenziato.
Nel resto della penisola la situazione resta spesso impantanata in un’emergenza senza fine, caratterizzata da una ridotta capacità di differenziare i rifiuti prodotti che porta come conseguenza diretta ad un aumento della quantità dei rifiuti indifferenziati; tale aumento mette a nudo, tra l’altro, la carenza di quegli impianti di trattamento e smaltimento del rifiuto indifferenziato che consentirebbero la chiusura del ciclo a livello locale. Il risultato di questa “sommaria” gestione è la paralisi del sistema e la necessità di ricorrere al solo modo per ridurre i rifiuti presenti in strada: quella di prevedere la loro esportazione verso gli impianti del nord se non addirittura verso l’estero.
Come risultato di questa disparità è che nel nord i cittadini hanno un notevole vantaggio economico in termini di tariffa da corrispondere e soprattutto non vivono quelle emergenze ambientali così mortificanti che investono invece molte zone del centro sud.
Una soluzione a queste grandi differenze regionali può essere data dalla predisposizione del Piano Nazionale Gestione Rifiuti (PNGR), come previsto dalle ultime normative europee.
Questa sintetica e qualitativa analisi tecnica (che peraltro non prende in considerazione la importante problematica relativa al numero ed all’effettivo rendimento degli impianti per la gestione e la valorizzazione dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato) coinvolge di fatto le attuali strategie di alcune politiche ambientaliste che mirano unicamente al consenso sociale e che volutamente e strumentalmente manipolano concetti e finalità di carattere ambientale per raggiungere invece obiettivi che nulla hanno a che vedere con la salvaguardia dell’ambiente. Non si capirebbe altrimenti perché i rifiuti, per chi attua tali strategie, intasino le strade creando in molte località italiane notevoli disagi ai cittadini ed all’ambiente e perché ancora si utilizzi ampiamente lo smaltimento in discarica per molti rifiuti che potrebbero invece essere recuperati soprattutto nell’ambito del recupero/produzione energetica.
Questo modo di fare dà invece la netta sensazione che sottenda l’avversione ideologica verso la costruzione di nuovi impianti di smaltimento (sia termovalorizzatori che discariche di servizio) come se tale rinuncia dovesse in qualche modo favorire, chissà come, il recupero e riciclo totale di materia. Questo slogan risulta ormai logoro e obsoleto in quanto trascura la realtà dei fatti. Realtà che avvalora invece un sistema di gestione che consenta il recupero di energia come una componente essenziale e irrinunciabile per la chiusura del ciclo dei rifiuti senza peraltro trascurare la presenza nel territorio di adeguate discariche di servizio per lo smaltimento finale dei rifiuti non più recuperabili in altro modo.
In questa fase si discute molto sulla transizione ecologica verso un’economia circolare. A tal riguardo a livello europeo sono stati dati obiettivi ambiziosi per l’anno 2035 circa la gestione dei rifiuti urbani.
L’incognita principale che grava sul raggiungimento di questi obiettivi è quella che presume per il loro raggiungimento dei cambiamenti radicali nel comportamento della politica e delle comunità coinvolte, aumenti consistenti e diversificati del parco impiantistico operante sull’intero territorio nazionale ed infine di cambiamenti sostanziali della mentalità degli operatori ambientali che dovranno agire con criteri industriali ed economici ispirati a sistemi di organizzazione complessa.
Quindi in sintesi, i criteri a livello nazionale su cui basare il ciclo di gestione dei rifiuti urbani dovrebbero essere:
16 Maggio 2021
Tommaso Piccinno